Antonio Ligabue. Il ruggito dell’anima. Al via la mostra a Pisa
Scritto da RICEVUTO IN REDAZIONE il 23 Dicembre 2025
Arsenali Repubblicani di Pisa
26 dicembre 2025 – 10 maggio 2026
Mostra prodotta da ARTIKA di Daniel Buso ed Elena Zannoni, con il patrocinio del Comune di Pisa e della Fondazione Augusto Agosta Tota per Antonio Ligabue e curata da Mario Alessandro Fiori, unitamente alla Direzione artistica di Beside Arts
Link per scaricare le foto ► https://bit.ly/PressKitLigabue
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COMUNICATO STAMPA
C’è un momento, nell’opera di Antonio Ligabue, in cui la luce sembra trattenere il fiato. È l’attimo che precede il balzo, lo scatto, il ruggito. L’istante in cui la natura – feroce e splendida – si fa specchio di un’anima in tumulto. La mostra di Pisa attraversa proprio quel punto sospeso: la soglia fra il mondo esterno e quello interiore, fra il reale e il sogno febbrile di un artista che, più di ogni altro, ha saputo trasformare la propria solitudine in visione.
L’esposizione LIGABUE. Il ruggito dell’anima, allestita negli storici Arsenali Repubblicani, intende celebrare il grande artista italo-svizzero, in occasione del sessantesimo anniversario della sua scomparsa. Un omaggio ad una delle figure più intense, tormentate e originali dell’arte italiana del Novecento.
L’evento è prodotto da ARTIKA, in collaborazione con Beside Arts e con il patrocinio della Fondazione Augusto Agosta Tota per Antonio Ligabue, istituzione da anni impegnata nella valorizzazione dell’opera dell’artista. La curatela è affidata a Mario Alessandro Fiori, segretario generale della Fondazione.
Attraverso oltre ottanta opere, il percorso espositivo si snoda tra dipinti, disegni, sculture e autoritratti che raccontano la parabola umana e creativa di un uomo che ha saputo trasformare il dolore e la solitudine in visioni artistiche di straordinaria forza espressiva.
Ligabue dipinge come chi cerca di respirare. La sua pittura non osserva: divora. Ogni tigre, ogni cavallo, ogni gallo in lotta è una parte di sé che emerge dalla tela con un’urgenza che non ammette riposo. Nella prima sala, gli animali irrompono nello spazio come presenze totali – il mondo contadino e il bosco padano si fondono in un unico teatro primordiale. In Tigre con ragno, il corpo dell’animale si tende in un equilibrio impossibile fra grazia e furia, mentre in Lotta di galli la violenza diventa danza. Tutto in Ligabue vibra di una fame di vita che non conosce misura: la natura è il suo linguaggio, ma anche la sua condanna.
Cresciuto ai margini, esiliato e deriso, Ligabue trova nella pittura un modo di esistere nel mondo. La sua selva di colori è un rifugio e una confessione. Quando dipinge un leone o una tigre, è sé stesso che mette in scena: l’artista che ruggisce contro il silenzio, che tenta di riconoscersi nello sguardo dell’animale. È questa la chiave del suo “ruggito dell’anima”: un suono che nasce dal profondo, in cui il dolore diventa canto.
Man mano che il percorso si apre, l’universo di Ligabue si popola di creature che non appartengono più solo alla terra padana. In Fagiani, la luce scivola sulle piume con una dolcezza inattesa, quasi che l’istinto potesse farsi tenerezza. Nelle sculture – come il Levriero o l’Autoritratto del 1955 – il gesto si fa più concentrato, scavato. Il bronzo trattiene ciò che la pittura lascia fuggire: la forma diventa carne, il volto si contrae in una smorfia che è insieme dolore e orgoglio. Ogni autoritratto di Ligabue è un ritorno all’origine, una resa dei conti con sé stesso. L’uomo e l’animale si fronteggiano come in uno specchio doppio, due forze che si riconoscono e si temono.
In opere come Testa di tigre o Tigre con indigeno, la ferocia si unisce alla visione. I colori si addensano, il mondo diventa un sogno tropicale in cui l’artista proietta la propria alterità. Ligabue non ha mai visto la giungla, eppure la dipinge come se l’avesse dentro. È la sua giungla mentale, popolata di paure e desideri, dove ogni foglia brilla come una ferita. La pittura, allora, non è più solo rappresentazione: è una forma di sopravvivenza, un modo per dare nome a ciò che non può essere detto.
Poi arriva la vastità delle scene corali: cavalli al galoppo, uomini e animali travolti dallo stesso destino. In Traversata della Siberia, il gelo e la fatica diventano epica contadina, memoria di un’umanità umile ma eroica. Ligabue trasfigura la sua pianura in un mito personale, un territorio che somiglia alla memoria e alla febbre. È come se in ogni quadro ci fosse una tensione verso la libertà – un anelito di fuga che attraversa il colore e si perde oltre l’orizzonte.
Nell’ultima parte del percorso, la pittura si fa più raccolta, quasi sommessa. Nella sua Ultima opera, Ligabue non ruggisce più: ascolta. Il colore si ritira, lasciando emergere un silenzio che non è vuoto, ma pace.
Camminando fra le sale, si ha la sensazione che ogni quadro, ogni scultura, ogni segno contenga la stessa domanda: chi sono io, dentro questa natura che mi respinge e mi accoglie? Ligabue ha risposto con la sola lingua che conosceva – il colore, la furia, la luce. In quella lingua ha trovato una verità che non appartiene solo a lui: la verità di chi, nel buio, continua a cercare il proprio ruggito.
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BREVE BIOGRAFIA
Antonio Ligabue nasce a Zurigo nel 1899, figlio di Elisabetta Costa, emigrata in Svizzera. La sua è un’infanzia drammatica, segnata da privazioni, lutti e abbandoni. Dopo la morte del patrigno e dei tre fratelli, viene affidato a una famiglia adottiva, i Göbel, e trascorre buona parte della sua giovinezza tra istituti per ragazzi problematici e ricoveri psichiatrici.
Nel 1919, a soli vent’anni, Ligabue viene espulso dalla Svizzera per motivi comportamentali e mandato in Italia, a Gualtieri, nella provincia di Reggio Emilia, terra d’origine del patrigno. È un ritorno forzato in un paese che non conosce, di cui non parla nemmeno la lingua. Solo e disorientato, trova rifugio nella natura e nell’arte.
È in questo contesto rurale che inizia a dipingere con intensità crescente. Non ha una formazione accademica, ma un talento innato e viscerale che si nutre di istinto, osservazione e memoria. Le sue prime opere sono rudimentali ma già cariche di una tensione emotiva inconfondibile.
Negli anni Trenta conosce lo scultore Marino Mazzacurati, che intuisce la sua forza espressiva e lo incoraggia a proseguire. Nonostante questo, la vita di Ligabue resta difficile: vive spesso in povertà, è emarginato dalla società e il suo percorso personale è segnato da frequenti ricoveri psichiatrici.
Eppure, proprio da questo disagio, nasce una produzione artistica straordinaria. I suoi dipinti raffigurano con energia travolgente il mondo animale: tigri pronte all’attacco, rapaci in volo, ma anche cavalli al galoppo e scene contadine. Ogni immagine è una metafora della sua interiorità, uno specchio di emozioni allo stato grezzo.
Centrale nella sua opera è il tema dell’autoritratto: Ligabue si raffigura decine di volte, in pose teatrali, espressive, spesso con sfondi simbolici. È un modo per affermare la propria esistenza, per dire “io ci sono”, in un mondo che lo ha ignorato o respinto.
Negli anni Cinquanta arriva il primo vero riconoscimento, grazie a mostre e articoli che cominciano a portare la sua pittura all’attenzione del pubblico e della critica. Tuttavia, il successo non cambia la sua condizione esistenziale. Ligabue muore nel 1965, a Gualtieri, dopo una lunga malattia.
Oggi è considerato uno dei più importanti artisti outsider italiani. La sua opera continua a emozionare per la sincerità assoluta con cui comunica dolore, meraviglia e desiderio di libertà. Un artista che ha vissuto ai margini, ma che ha lasciato un segno profondo nella storia dell’arte del Novecento.
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INFORMAZIONI UTILI
Periodo espositivo
Dal 26 dicembre 2025
Al 10 maggio 2026
Spazio espositivo
Arsenali Repubblicani
Via Bonanno Pisano 2, Pisa
Contatti mostra
E-mail: mostre@artika.it
Cell.: +39 351 809 9706
Ufficio Stampa
E-mail: stefania.bertelli@artemidepr.it
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